Le aziende spaziali spingono verso soluzioni con strutture spaziali gonfiali usabili in orbita bassa e nell'esplorazione del Sistema Solare

Strutture gonfiabili, la chiave per esplorare il Sistema Solare

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Diverse aziende private stanno spingendo ad innovare le tecnologie per aumentare l’esplorazione spaziale. L’ultima novità in questo ambito sono la valutazione ed i test di materiali morbidi per realizzare camere di compensazione gonfiabili/espandibili e habitat extraterrestri. Non solo per l’orbita terrestre bassa, ma anche per fornire alloggi confortevoli ai futuri esploratori della Luna e di Marte.

Le strutture spaziale gonfiabili risalgono al Progetto Echo, che ha coinvolto due veicoli spaziali americani. Il primo lanciato nel 1960 e il secondo nel 1964. Erano satelliti a palloncino in Mylar dalla pelle sottile. Questi palloni pieni di gas testarono la riflessione dei segnali a microonde da un punto all’altro sulla Terra. Successivamente nel marzo del 1965, il cosmonauta sovietico Alexei Leonov utilizzò una camera stagna gonfiabile attaccata alla sua navicella spaziale Voskhod 2 per effettuare la prima passeggiata spaziale dell’umanità. Ma quella pietra miliare si rivelò tutt’altro che semplice. La tuta dell’astronauta sovietico si irrigidì così tanto nel vuoto dello spazio che Lenov dovette scaricare parte della pressione esercitata. La manovra di emergenza gli permise di piegare finalmente le giunture della tuta e di rientrare nella sua astronave madre.

Le strutture pioneristiche di Bigelow

Nel 21° secolo il concetto si è evoluto nel lavoro pionieristico di Robert Bigelow e del suo team presso la Bigelow Aerospace di Las Vegas. L’azienda ha costruito due prototipi di strutture gonfiabili a volo libero senza equipaggio che sono stati lanciati in orbita terrestre rispettivamente nel 2006 e nel 2007, nell’ambito del suo programma Genesis. Tutt’oggi queste strutture stanno ancora orbitando. 

Pur traendo spunto dal progetto TransHab annullato dalla NASA, la Bigelow Aerospace Enterprise è stata un polo creativo che ha promosso la tecnologia dei moduli spaziali espandibili. Un frutto del loro lavoro è ora attaccato alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Il Bigelow Expandable Activity Module (BEAM), è arrivato alla ISS ed è attaccato al suo modulo Tranquility.

Bigelow Expandable Activity Module (BEAM), atraccato alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Credit: NASA

Bigelow Aerospace e il suo lavoro pionieristico nei moduli espandibili includevano l’uso di estensioni proprietarie del tessuto di schermatura Vectran, un’alternativa più forte al Kevlar. Vectran è una fibra polimerica a cristalli liquidi ad alte prestazioni che offre attributi superiori rispetto al Kevlar. L’azienda oggi non è più operativa (ha chiuso i battenti nel 2020), ma la sua influenza potrebbe ancora farsi sentire in futuro.

Espansione della concorrenza

Oggi, diverse aziende leader stanno portando avanti strutture espandibili nello spazio. Una nuova startup Max Space, sta lavorando su habitat gonfiabili per l’orbita terrestre, la Luna e Marte. Anche Sierra Space è coinvolta nello sviluppo di un habitat chiamato Large Integrated Flexible Environment (LIFE).

Allo stesso modo, Lockheed Martin sta testando concetti di strutture gonfiabili che offrono vantaggi rispetto alle controparti interamente in metallo. Ogni gruppo sta tenendo d’occhio il promettente potenziale della tecnologia espandibile. E ogni azienda ha la sua ricetta proprietaria incorporata nei propri prodotti. “Il futuro dello spazio è limitato dallo spazio”, ha spiegato Maxim de Jong, co-fondatore di Max Space.

De Jong ha progettato gli scafi con contenimento della pressione dei Genesis 1 e 2 di Bigelow, i primi veicoli spaziali in orbita a incorporare con successo un’architettura gonfiabile ad alto volume e alta resistenza. “Ci stiamo preparando a far volare la nostra missione inaugurale nel 2026”, ha dichiarato. Nell’ambito di tale processo, il gruppo ha recentemente eseguito con successo test di distribuzione di un nuovo design di scudo contro i detriti spaziali. “Questa è la vera discriminante di progresso, dato quanto sia impegnativo, in termini di design, tempo e costi, lo sviluppo dello scudo contro i detriti”.

L’obiettivo di Max Space è di avere una famiglia di habitat scalabili nello spazio, che vanno da 20 metri cubi, a 100 metri cubi, a 1.000 metri cubi entro il 2030. C’è il potenziale per arrivare a megastrutture da 10.000 metri cubi che potrebbero essere lanciate nello spazio in un unico volo, utilizzando il megarazzo Starship di SpaceX o il New Glenn di Blue Origin.

Maggiore volume e minore massa

Gli esperti della Lockheed Martin spiegano che le strutture gonfiabili offrono un volume maggiore per una massa inferiore. Ciò si traduce in volumi abitabili più grandi, in grado di essere lanciati nello spazio, all’interno di carenature di carico utile di dimensioni ragionevoli. Di recente, un’unità pathfinder costruita per applicazioni airlock è stata sottoposta a controlli di pressurizzazione e depressurizzazione.

Lockheed Martin, in collaborazione con il Marshall Space Flight Center della NASA ha avviato un test di di 100 ore in cui l’unità di componenti morbidi viene pressurizzata a una percentuale della sua pressione di scoppio massima e mantenuta a questa pressione fino a quando non si verifica uno scoppio dovuto allo scorrimento viscoso, quindi una deformazione permanente del materiale.

“Il tempo di guasto previsto per questo test era di circa 100 ore”, ha affermato Uy Duong, ingegnere capo dell’abitacolo presso Lockheed Martin. “Questo test ha già superato il traguardo delle 1.500 ore senza guasti e continueremo il test fino allo scoppio o a metà dicembre se non si verifica alcun evento di scoppio da ora a quella data”. Duong e i colleghi della sua azienda stanno prendendo in considerazione grandi habitat gonfiabili da utilizzare sulla Luna e su Marte, nonché nell’orbita terrestre bassa.

Un sacco di spazio

Shawn Buckley è vicepresidente di Space Destinations e In-Space Infrastructure presso Sierra Space ed è stato un architetto BEAM presso Bigelow Aerospace. Ora, presso Sierra Space, Buckley e il suo team sono impegnati a lavorare intensamente sull’habitat LIFE, progettando una linea di evoluzione del prodotto che potrebbe portare a un modulo in grado di offrire 5.000 metri cubi di volume.

Le nuove strutture gonfiabili progettate dalla Sierra Space

Il primo prodotto nella roadmap di Sierra Space è una grande struttura espandibile a tre piani con un diametro di oltre 8 m. Può essere posizionata nell’orbita terrestre da un razzo convenzionale attrezzato per ospitare quattro astronauti, con una stanza spaziosa per esperimenti scientifici, attrezzatura per l’allenamento, un centro medico e una serra speciale che coltiva cibo per gli esploratori in missioni di lunga durata. 

“In poco più di 2 anni e mezzo, siamo stati in grado di creare e testare sette articoli, e ora stiamo entrando nell’ottavo. Ci stiamo muovendo a un ritmo veloce”, ha detto Buckley. “La tecnologia sta davvero guadagnando slancio, e ci stiamo muovendo molto rapidamente”. Buckley ha detto che ripetere i test è essenziale. “Questo è ciò che dà alla NASA e ai nostri clienti la sicurezza. Alla fine della giornata, più dati possiamo ottenere, meglio siamo informati”, ha dichiarato.

Scopo di nicchia

“Le strutture gonfiabili hanno un ruolo come uno strumento nel nostro kit di strumenti per espandere, per così dire, i voli spaziali umani per nuovi mercati e missioni”, ha affermato Brent Sherwood, un noto architetto spaziale e responsabile del dominio spaziale per l’American Institute of Aeronautics and Astronautics. I suoi incarichi passati includono quello di vicepresidente senior dello sviluppo dei sistemi spaziali presso Blue Origin.

“Come tutti gli utensili, sono meglio utilizzati per uno scopo di nicchia”, ha detto Sherwood. Le strutture espandibili potrebbero trovare un uso particolare come elementi di collegamento, ha aggiunto. “Ad esempio, sulla superficie lunare, molto presto avremo bisogno di metodi fisicamente conformi per collegare i diversi moduli abitativi”, ha precisato Sherwood. “Conforme significa adattarsi a diversi livelli del pavimento, ad esempio da un lander a un rover pressurizzato, a un posizionamento impreciso della superficie, come nella prima costruzione della base, e all’espansione e contrazione termica dovute ai cicli giorno/notte lunari”

Un po’ di conformità può semplificare notevolmente l’architettura complessiva del sistema. “Quindi potrebbe essere che uno degli utilizzi migliori sia quello di elementi di connessione relativamente piccoli piuttosto che l’obiettivo di rendere più grandi i moduli grandi”, ha sottolineato. “Alla fine dovremo imparare a fabbricare recipienti a pressione di dimensioni enormi nello spazio, ma da qui a quel momento dovremo ancora lavorare molto sulla crescita del mercato e sulla convalida”, ha concluso Sherwood.

Stefano Gallotta

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